Resilienza

Noi siamo fragili, abbiamo tanti difetti, sbagliamo molto. Si può dire che l’essere umano fa molti sbagli nella sua esistenza e questi sbagli potrebbero scoraggiarlo, rattristarlo, anzi, molti agiscono proprio su questi sbagli per diffondere negatività, paura, solitudine. Occorre, invece, essere intelligenti e saper sfruttare bene gli sbagli e le mancanze. La resilienza è quella capacità dentro ciascun essere umano di trasformare la frustrazione, la fatica e lo sbaglio in opportunità, in crescita, in luce nuova. Ecco coltiviamo la resilienza. Come possiamo farlo? In due modi, cercando di evitare di drammatizzare gli sbagli che facciamo e di intravedere il positivo in noi e negli altri: ci accorgeremo che l’umano e la fragilità possono essere trasformati in opportunità e crescita. Infatti, si guadagna molto di più con lodi date con pertinenza che con continui castighi e rimproveri. Allora non dobbiamo rimproverare noi stessi che sbagliamo, dobbiamo rimproverarci se quando sbagliamo rimaniamo fermi non ci rialziamo e drammatizziamo, invece possiamo stimarci se ricominciamo, ci rialziamo e continuiamo ad amare.

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La cosa più bella fra gli esseri umani è l’attenzione

La vita bisogna affrontarla con gli occhi di un bambino.

Quali sono le caratteristiche del bambino? Sono sostanzialmente due: il bambino non ha il tempo, tutto è eterno, tutto è vissuto nell’assoluto. Ecco perché Gesù dice che noi dobbiamo tornare bambini! La seconda caratteristica è che il bambino mette dentro tutto se stesso in quello che fa, è pienamente lui, pienamente attento. È stata Simone Weil, la filosofa francese che diceva: “La cosa più bella fra gli esseri umani è l’attenzione”. Allora viviamo eternamente nel presente con l’attenzione profonda, saremo bambini e uomini evangelici.

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La realtà

La realtà non è quella che noi vediamo. La realtà ci viene incontro con l’attimo presente; ma la facciamo esistere noi nella misura in cui vi scorgiamo il positivo, l’amore, il senso. Ecco perché la realtà è la luce dentro di noi che illumina quello che succede, quello che capita. In questo modo tutte le cose, tutte le vicende trovano un senso, trovano un fine che è la volontà di Dio sul presente, sulle cose: è la volontà di Dio è solo l’amore.

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Educare…

Noi pensiamo che educare sia dare norme, regole, castigare, punire… no, niente di tutto questo, niente! Educare è far sentire il bambino atteso, desiderato, far sentire che ne è valsa la pena che è nato, e questo noi possiamo farlo se ogni volta che parliamo con il bambino terminiamo il nostro dire con la parola Tu. La parola Tu vuol dire che rispettiamo la sua dignità, ad esempio si può dire: “Guarda non mi aspettavo questo da te, hai sbagliato qui, qui, qui… sono sicuro che Tu farai meglio, sono sicuro che Tu saprai cosa fare”. Questo Tu è il capolavoro dell’educazione.

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Energia vitale

L’innamoramento è l’energia vitale dell’anima. Lo spazio e il tempo non esistono più, se non nella assolutezza eterna del presente. Lo sguardo dell’innamorato è pieno di luce ed infinito desiderio dell’attesa. È un’attesa che sa di eterno e che sfugge nell’immediato per abitare il cielo delle emozioni. L’innamorato diventa così ricco di emozione e di luce, che dai i suoi pensieri e dai suoi scritti sgorgano fiotti teneri di commozione e di dolcezza. Allora l’incanto prende il posto del tempo e l’eternità diventa di casa: è una breve eternità che contiene l’intenso del paradiso. Ecco perché è impossibile far tacere l’innamorato, perché il tesoro che prova è fatto per donarlo all’amata. L’innamorato ritrova così la sua vera vocazione: essere dono di sé all’altro in un tripudio di gioia. Si, di là, saremo sempre innamorati.

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La donna dell’educare

La grandezza di Maria non sta nelle apparizioni, ma sta nel fatto che lei è stata una donna tutta d’un pezzo, con pazienza e coraggio. Suo figlio, Gesù, era considerato un malfattore, un eretico, un brigante, una persona, insomma, dove per stare con lui bisognava essere dei malfattori, dei delinquenti. Maria ha supportato tutto questo, ha avuto pazienza e coraggio. Pazienza nel credere nonostante tutte le maldicenze, coraggio nel rimanere ferma soprattutto ai piedi della croce nonostante tutto il vento contrario.

Quanto sono stufo di tutte le sue apparizioni, penso che probabilmente, queste apparizioni nella stragrande maggioranza dei casi non sono vere. È arrivato il tempo di dare giustizia a Maria, considerarla nella sua grandezza come una donna tutta di un pezzo, la donna dell’educare.

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La realtà è quella che vediamo?

Tutti ci dicono che la realtà è quella che vediamo, è quella che le cronache ci presentano. Questo è falso per due motivi:

primo: l’85% delle notizie dei telegiornali sono negative e questo è ingiusto, perché sono stati fatti tanti esperimenti, in tanti paesi d’Italia e si è notato che, succedono metà cose belle e metà cose brutte, se fossimo almeno oggettivi dovremmo presentare un telegiornale con metà notizie belle e metà notizie brutte;

secondo motivo: la realtà è quella che noi facciamo esistere. Facciamo un esempio: se io descrivo i difetti di una persona, tutti i difetti, che idea si ha di quella persona lì? Negativa. Se invece descrivo i suoi pregi l’idea è positiva. Ecco, la realtà è quella che facciamo esistere noi, dovremmo diffondere il positivo dappertutto, in poco tempo noi realizzeremo dei circoli virtuosi, dove il positivo e il bene contaminano il mondo.

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L’attenzione è sinonimo di cura

Simone Weil, questa grande filosofa francese, diceva “L’attenzione è la realtà più grande fra gli esseri umani”, si, perché stare attenti è sicuramente una delle capacità più belle dell’umano. Affinché io stia attento è necessario che io sia fuori di me, completamente nella realtà, completamente nell’altro. Allora l’attenzione è sinonimo di cura, di sguardo positivo, di concentrazione di tutto me stesso in quello che sto facendo.

Il primo che avuto l’attenzione nei confronti dell’uomo è stato Dio, che per amore l’ha posto ad esistere. Dio è continuamente attento nei nostri confronti, perché come una madre, ci cura con le sue viscere e manifesta sempre in ogni attimo la sua tenerezza.

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Come litigare bene

Il papa ha detto che bisogna «accarezzare il conflitto». Che vuol dire? – Giovanni

«Il futuro sarà accarezzare il conflitto». Questa frase, pronunciata da Papa Francesco in un suo discorso ai responsabili dei movimenti religiosi, illumina in modo straordinario il percorso per una convivenza più umana e autentica. Infatti il binomio accarezzare – conflitto sembra un paradosso, ma rappresenta una intuizione che è propria dello Spirito Santo, in quanto è valida per l’oggi, per il vissuto contemporaneo.

Proviamo infatti a riflettere su come erano impostati i rapporti nel passato, quando spesso si taceva la propria opinione per paura dell’altro e delle critiche. Spesso, in famiglia, non si aveva il coraggio di esprimere pareri contrari al giudizio del padre o della madre, perché si temeva di mancare rispetto e, se si osava una minima risposta, spesso si riceveva uno scappellotto perché non si obbediva alla autorità costituita.

Anche le istituzioni come la Chiesa, la scuola, la famiglia, erano strutturate sul binomio autorità – obbedienza, come cardine costitutivo della convivenza. Ciò naturalmente aveva i suoi vantaggi in termini di ordine, rispetto, convivenza ordinata e poco turbolenta…

Presentava però anche i limiti perché spesso impediva una creatività insita nelle giovani generazioni che sentivano impellente il bisogno di emanciparsi e di esprimere liberamente il loro pensiero. Un altro limite era caratterizzato dal fatto che talvolta i pareri dei genitori erano errati e si basavano su convinzioni rigide e pre-costituite.

Oggi naturalmente la musica è completamente cambiata. Sembra che parole come rispetto, obbedienza, autorità siano messe al bando e diventate obsolete, per fare spazio a discussioni, al parlare a tutti i costi, ad esprimere tutti i pareri possibili, indipendentemente da chi si ha di fronte. Non è raro infatti assistere a dialoghi ove l’insulto, il linguaggio volgare e scurrile sia frequente, senza il minimo rispetto della persona che si ha di fronte.

Anzi l’assurdo sembra che chi più grida ed usa un linguaggio spinto, venga ascoltato maggiormente. Il risultato però è sotto gli occhi di tutti in termini di aumento della violenza, decadimento dei costumi sociali e mancanza di rispetto verso le persone anziane. Quindi una volta si aveva paura a parlare, oggi non ci si tace più. Una volta gli anziani erano al centro del dibattito, oggi per farsi ascoltare devono scimmiottare i giovani. Una volta il conflitto era raro, oggi il conflitto verbale è di moda.

Eppure il litigio non è del tutto negativo. L’esperienza negativa in assoluto è l’indifferenza, perché testimonia il totale disinteresse verso le persone e le cose. Il conflitto e il litigio contengono qualcosa di positivo, perché se si litiga con una persona significa che ci interessa, che vogliamo discutere e sentire il suo parere. Ma se il litigio deborda in volgarità e sopraffazione, il risultato è pessimo e ci si allontana sempre più.

L’importante allora sarà “litigare bene, accarezzare il conflitto appunto”! Ciò permettere all’altro di esprimere il suo parere, anche discordante dal mio, in modo tale che alla fine, dopo il litigio ci si senta più uniti, più uomini, con una unità d’intenti che, anche se è costata fatica, comprende entrambi, è frutto dello sforzo di tutti. Occorre allora abituarsi a litigare bene, a non tacere il proprio parere, con l’intento però di costruire, di arrivare ad una realtà più grande

Ma come si può fare? Come si può litigare bene? Penso che siano necessari alcuni atteggiamenti:

1) vedere sempre il positivo dell’altro.

2) considerare l’altro come degno di stima, anche se ha pareri differenti.

3) considerare la relazione come la realtà più importante e l’altro come co-essenziale.

4) evitare di denigrare l’altro e introdurre lo “scusarsi” e la tolleranza come cardini del dialogo.

Tutto ciò poi sarà importante per il futuro ove, con la forte immigrazione e con gli scambi culturali sempre più frequenti, l’armonizzazione del vivere e della convivenza dovrà essere costruita con assiduità e determinazione. Quindi “accarezzando i conflitti” riusciremo lentamente ad integrarci, a costruire ricchezze sempre più vere, frutto del dialogo e non di coercizioni od esclusioni.

Forse la grande famiglia universale potrà allora non essere più una chimera o un sogno per ben pensanti, ma una realtà costruita sulla fatica di tanti, sulla sofferenza di molti che credono che il dialogo sia più importante di ogni differenza. Allora la relazione sarà più vera, frutto dell’amore sudato, della “croce di molti” che, alla luce della croce di Gesù, si lasceranno illuminare dal Suo amore affinchè Lui costruisca l’unità dei popoli.

(tratto da https://www.cittanuova.it/esperto/2017/4/4/come-litigare-bene/)

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Due tipi di cromosomi

Quando un bambino nasce ha due tipi di cromosomi. I cromosomi della creatura terrestre, che sono quelli biologici, portati dai genitori, il colore degli occhi, dei capelli e così via. Poi vi sono i cromosomi della creatura celeste, quella creatura che riguarda l’immagine di Dio. Vi sono almeno cinque cromosomi dell’immagine di Dio:

  • l’uomo è relazione, come Dio è relazione
  • l’uomo è programmato per l’amore, come Dio è amore
  • la verità genera gioia e la falsità tristezza, come Dio è pura verità
  • è sempre possibile ricominciare. E questo è un dono di Dio affinché la terra creaturale diventi creatura celeste
  • nell’uomo è depositato un terzo orecchio, ove vive lo spirito, luogo dell’incontro fra lo spirito umano e lo Spirito Santo.

È straordinario quello che Dio ha fatto nel creare l’uomo, il vertice della creazione, la cosa più bella che esista.

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